Le traduzioni
I l  R i t r o v o            D e l l a  P a r o l a

Miklós Radnóti

Miklós Radnóti nacque a Budapest nel 1909 da una famiglia ebrea; la madre morì  nel partorirlo e così pure il fratello gemello; il padre morì quando lui aveva dodici anni.  Frequentò la Facoltà di Lettere e vi strinse amicizia con un professore sacerdote, cui  dovette la conversione al cattolicesimo. Nel '35 sposò Fannì, con cui si era messo quando  aveva diciassette anni. Per le leggi razziali gli fu impedito di insegnare. Venne mandato per  tre volte ai lavori forzati tra i soldati-prigionieri reclutati tra ebrei e comunisti. Fu  costretto a lavorare in vari lager in Ungheria e in Serbia. Fu ucciso nel novembre del '44 da  militari nazisti ungheresi, insieme a ventuno compagni. Nel '46, quando il corpo fu  riesumato da una fossa comune, si trovò nei suoi abiti “Il taccuino di Bor”, con i versi  scritti in prigionia.  Molto popolare in patria, effigiato persino nei francobolli, alla sua vita è stato  dedicato nel '61 il primo musical ungherese, Un amore, tre notti (opera del drammaturgo  Miklós Hubay, del poeta István Vas e del compositore György Ránki) e nell'89 il film  Forced March (Marcia forzata), mai distribuito in Italia. 
E.Bono G.De Gennaro G.Gattoni M. Radnóti C.Striano B.Tolentino P.Varvesi
Come scrive Edith Bruck, Miklós Radnóti "rappresenta un caso unico nella storia della letteratura ebraica: il solo poeta che è riuscito a comporre  anche all'interno del campo di concentramento dove era rinchiuso." I suoi ultimi versi prendono luce e intensità proprio dalla condizione in cui sono  stati scritti. Così Cecilia Malaguti: “Conscio della intenzione dei nazisdi disumanizzare, depersonificare i prigionieri, l'intellettuale nel lager si raccoglie  in se stesso. Il soggetto lirico, rinserrato in questa sua autonomia, è sospeso in uno spazio astratto, quasi ideale, tanto da sembrare distillare la propria  esperienza e la realtà tutta, trasferire la propria parola sul piano di una contemplazione e conversazione che sfiora il sublime.”   Le sue opere pubblicate in Ungheria: Saluto pagano, 1930; Canto dei nuovi pastori, 1932; Il vento convalescente, 1933; Novilunio  pure, condannato a morte, 1936; Strada ripida, 1938; lo scritto autobiografico Nel segno dei gemelli, 1940; Cielo schiumoso, postumo, 1946.   In ungherese Radnóti tradusse vari poeti europei, soprattutto tedeschi (Ivún Goll) e francesi (Apollinaire, La Fontaine). Ne pubblicò un'antologia:  Sulle tracce di Orfeo. Dal '71 gli è stato intitolato in patria un prestigioso premio biennale di poesia. È considerato tra i grandi poeti di ogni tempo. L’autorevole rivista  internazionale Poesia (numero speciale di gennaio 2013) fa un ritratto dei cento poeti più rappresentativi di ogni epoca, da Omero ai poeti del '900.  Tra i nostri moderni vi compare Montale, mancano Ungaretti e il Nobel Quasimodo. C'è Miklós Radnóti, ed è con un omaggio a lui rivolto che si apre  l’introduzione di Ezio Savino; suggestiva la pagina dedicata al poeta, opera di Anna De Simone.    Novello Orfeo lo definisce Cecilia Malaguti nel saggio "Descensus ad inferos", il viaggio di Miklós Radnóti negli abissi dell'anima.  di leggerlo, così come altri tre saggi: Il primo. "Scritto verso la morte" di Gabor Tolnay (in Ippocrene, 2007) vede nel poeta un comunista  rivoluzionario, e arriva a definire “di breve durata” la conversione al cattolicesimo, fede che sostenne il poeta fino alla tragica morte; le altre due sono di  Katia Paoletti: "Alla radice del cielo", nella rivista "PaginaZero" (1/2008) e infine "Il respiro etico della poesia", in Dedalo.   saggio la Paoletti riporta fra l'altro quello che scrisse il poeta in occasione del suicidio di un altro grande poeta magiaro, Attila József:   saranno compiute con la morte. L'opera strutturata nel corso della vita con la morte diventa completa. La composizione, il messaggio poetico, che è  stato svelato dalla vita superficiale, dal corpo, col cadere del corpo nella fossa della tomba diventa visibile, l'opera s'innalza e comincia a dare luce». 
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Katia Paoletti sottolinea come, alla base della scarsa conoscenza fuori dall'Ungheria dei suoi più illustri letterati c'è la particolare osticità della  lingua magiara, che non è di ceppo indoeuropeo. Tradurre poesia è di per sé un'ardua impresa, tradurla dall'ungherese lo è ancor di più. Ecco perché, fra  le traduzioni che troverete qui, tutte già reperibili un po' qua e un po' là su Internet, ve ne sono alcune nei riguardi delle quali o se ne tentava una  rielaborazione poetica, come ha fatto in più di un caso Pierluigi Varvesi, o si rinunciava del tutto a presentarle. In poesia capita sovente che le traduzioni  siano fatte in coppia, e che uno solo dei due conosca bene la lingua dell’originale. Laddove ciò è avvenuto, la traduzione da cui si è tratto spunto è citata  in calce. Primo frutto di una collaborazione tra Varvesi e l’ungherese Ibolja Cikos è la nuova versione di Tajtékos ég - Cielo schiumante  traduzioni italiane di poeti magiari da parte della Cikos sono presentate dal portale ungherese Babelmatrix.  Di alcune delle poesie di Radnóti pubblicate dal Ritrovo Della Parola esiste già una traduzione in antologie stampate in Italia, ma non si è ritenuto  opportuno riprodurre qui nulla che non fosse già presente nel web.   In Italia sono state pubblicate diverse antologie dei versi di Radnóti: nel'58 Poesie scelte, a cura di Laszlo Palinkas; nel '64 Ora la morte e un fiore  di pazienza e altre poesie, traduzione Edith Bruck e Nelo Risi (estratto da n.33/1964 de L'Europa letteraria); Sempre nel '64 Scritto verso la morte  traduzione Marinka Dallos e Gianni Toti; del '95 Ero fiore e sono diventato radice, trad. M. Dallos e G. Toti; nel '99 Poesie,   Dell'Agnese e Anna Weisz Rado; nel 2009 Mi capirebbero le scimmie, traduzione Edith Bruck. 
I versi
Amare
Resistere
Altri versi
Il taccuino di Bor
* TRADUZIONE  INEDITA
Note biografiche (vedi anche Un poeta contro il nulla in Parliamone)
Copertina
Il poeta
Ultima modifica: 6 dicembre 2013
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