Tutti sappiamo bene come la parola udita sia  interpretabile anche grazie ad altri segnali, come il tono, il  volume, le pause della voce.   È scientificamente dimostrato che oltre il 70% dei  messaggi che le persone si scambiano è rappresentato  dalla “comunicazione non verbale”. Che la parola sia  meno ambigua se unita, oltre che alla voce,  al gesto e  all'espressione del viso, corrisponde all’esperienza  comune.   Tuttavia la parola resta un segno ambiguo, soggetta  com'è a fraintendimenti.  
Sempre più la parola sembra perdere valore: si legge  meno, si dialoga poco e male, siamo forse un po' più bravi  ad esprimerci di un bambino piccolo, ma molto, molto  meno bravi di lui nell'ascoltare.   Viene da domandarsi se l'ascolto superficiale o solo  apparente con altrove la testa e il cuore - ovverossia il non  ascolto - non sia un'abilità/disabilità naturale, acquisita in  modo inconsapevole nell'evoluzione-involuzione per  garantire la sopravvivenza della specie umana, in un'era  geologica minacciata dall'eccesso e dalla qualità dei segnali  percepibili.  
Una volta acquisita, l’abilità/disabilità del non ascolto  viene spesso usata consapevolmente da noi, gli umani, per  sfuggire a tutto quel che ci assilla. Basta domandarsi  quante volte a tavola, in famiglia,  si legge il giornale o si  guarda la tv.   Sfuggiamo anche al dialogo con noi stessi. Quante  sono le domande, ancora prive di  risposta, che  abbandoniamo imbavagliate  e senza speranza nei  polverosi scantinati del cuore, incapaci come siamo a volte  di convivere con la realtà tutta intera in modo consapevole.  Questo si riverbera sui rapporti interpersonali, portando la  comunicazione futile a prevalere di gran lunga sulla  condivisione di quello che a noi e agli altri sta più a cuore.  
C’è bisogno di un impegno costante per fare un uso consapevole della  parola nell’esprimersi, nel  leggere, nell’ascoltare. È necessario attraversare  l'ambiguità per entrare in rapporto con l'altro, per vivere da vivi in questo  nostro povero mondo tanto progredito, così in decadenza. Elena Bono ci ricorda  che oggi più che mai c’è bisogno di una nuova resistenza, ma dello spirito.  
Se ad occhi e orecchie tese e con cuore  aperto ci si guarda intorno, si trova conforto  nel rendersi conto che qualcun altro è  sopravvissuto, sia pure a malapena. Sì, c’è  qualcuno da qualche parte che ancora pensa  valga la pena puntare - in pochi o in tanti  non importa - a esprimersi  come agli umani  può esser dato e ad ascoltare come sa un  bambino.   Il web in questo può essere di aiuto: a  ritrovarsi.
A proposito della parola Pierluigi Varvesi
Ultima modifica: 3 settembre 2013
A causa della sua molteplice significanza, la parola  è un segno ambiguo.   Non sempre è agevole individuare tra i significati  possibili quello che la parola vuole esprimere nel  momento in cui viene percepita.   La parola letta certo è interpretabile in base al  contesto e a quel che si sa dell'autore, ma può fare da  supporto a una comunicazione su piani diversi,  difficilmente percepibili ad una prima lettura.  
Nuovi strumenti aiutano, come i supporti audiovisivi, le conversazioni guardandosi via Skype o similari, o anche  gli emoticon negli sms, ma ancor più numerosi sono oggi i fattori che imprigionano il significato all'interno della  parola. Il chiacchiericcio profuso a pioggia battente dai media contribuisce a sminuirne la valenza. Alla radio, alla tv,  al cinema non possiamo chiedere di ripetere, di provare ad esprimersi altrimenti, di ascoltarci mentre comunichiamo  a nostra volta  il significato percepito, per confermarlo o aggiustare il tiro.  
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