Nella VI stazione contempliamo Gesù di Nazareth e la Veronica
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Avvicinati con il tuo panno fresco di lino, o madre disperata. Madre babilonese che contempli un tuo figlio dato alla morte, come tutti i figli balbettanti al primo uscire dall'universo dell'utero. E contempla lo smisurato animale che si è nutrito delle tue mammelle di latte e tempo. La meravigliosa bestia temporale. Egli si porta l'aspo del telaio, come una tela il tessitore ha reciso l'ordito. La sua vita misurata a palmi, si arrotola. E l'impronta lascia sul tuo panno, o antica madre. Infinitamente dolente dai tempi di Caino. Infinitamente ripetendo il gesto di dare vita e morte procurando alla tenera carne dei tuoi figli. O madre che sempre la donna di picche peschi dal mazzo. La Veronica stende sulla faccia il velo all'uomo assiderato. E ne riceve il ritratto in negativo, la faccia con le occhiaie vuote, la forma del naso e le labbra del Figlio d'uomo. L'utero desolato si contrae nello spasmo. Potessi darti altra vita, farti rientrare nel mio seno. Partorirti ancora e sempre. Quante volte ho trasalito sentendo il primo movimento, il palpitare dei tuoi piedi, lo scalpitare dolce, il movimento, la spinta forte della nascita, il tuo pianto accorato. Un figlio mi è nato. E la mano fredda della consapevolezza si stende sulle viscere gelate: questo figlio morirà. La Veronica contempla sul panno l'impronta della creta, polvere, sangue. Che si secchi la mano che si stese. Il frutto dell'albero avanza trascinando i piedi e inciampa. Cade. Cavi di Lavagna, 30 marzo 1987
Carlo Striano
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