Nella III stazione contempliamo Gesù di Nazareth che cade per la prima volta
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E cade. Lentissimamente s'abbatte l'albero. "l'ampia inchinando superba vetta". E cade. Silenziosamente trascinando nidi d'uccello, tele di ragno, frutti ancora non maturi. E cade. Percuotendo le pietre che non volle in pane trasformare. E cade. Senza che un angelo venga a salvarlo dall'inciampo. Come pioppi oscillano le schiere, ali alzate e frullanti nella luce, a coprire la bocca. Urlano gli angeli senza far rumore, e la meraviglia li pervade, uno per uno i novantanove cori. Accorata meraviglia di così paziente amore. E chi volete voi che li conforti di così dura sorte, di così gran patire? La folla raggelata. L'ansimare rotto. L'affannoso rialzarsi. Le mani legate al legno. Il sangue cola dal naso insieme al muco. Maschera di polvere coagulata. Il sudore. Andromeda lontana guarda immota. Il suo disseccato turbinante soffio, terra riarsa, terra desolata. Il morente, destinato alla corruzione, si protende verso il cielo e contempla, come da un abisso, il suo splendore. E con le labbra riarse sussurra il Nome il dolcissimo Nome. E torna a camminare oscillando, il collo torto, lo sguardo fisso all'orizzonte, sorgesse mai la stella cometa, la Stella del Mattino. Uomo-Dio, paradosso ansimante. Cavi di Lavagna, 16 febbraio 1987
Carlo Striano
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