Nella II stazione contempliamo Gesù di Nazareth che prende la sua Croce
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Il mite asino del suo basto è caricato. Il giogo soave, il carico leggero. Prendete esempio da me che sono mite ed umile di cuore. Arri! Arri! Cammina incespicando per la via dolorosa. Ansimando, frate asino, si prende le frustate. Meraviglioso spettacolo il Dio Incarnato. Trascinando i piedi, faticosamente, strattonato, spinto. Assetato, le funi del suo amore più forti di ogni onta. Egli è l'uomo del dolore, il servo sofferente, la canna incrinata, il fumigante lucignolo increato. Figlio di Adamo, Figlio di Dio si è dichiarato. E allora a che serve ascoltare altri falsi testimoni? Con le sue mani si è rovinato. Il bestemmiatore inveterato. Magari fosse stato solo un povero matto, un esaltato. Però parlava al vento e il vento si calmava. Ma il soffio di sua parola non entrava, se orecchie preparate non si aveva. Quest'uomo guardava con acuta attenzione l'erba dei campi che cresceva e il fiore che sull'erba dondolava per effetto della brezza sulla sera. E quante volte il sole rosso che di luce viola imporporando, sulla sera, con occhi attenti scrutando... E i rami del fico e l'improvviso bagliore del mandorlo a febbraio, ma il lievito dei farisei non aveva mangiato. Mai, mai, mai. Cammina allora, sotto il giogo della condanna, mite bue castrato, obbediente. Tira l'aratro della giustizia del grande sacerdote. Forse, il testo non lo dice, piange, come quella volta per il suo amico da quattro giorni seppellito. Piangeva? No, s'era disseccata la sorgente. Argilla cotta, la lingua s'attacca al palato. Argilla, creta, vaso di creta, cisterna spaccata. Un passo, dopo l'altro, come sono belli i suoi piedi. Come glorioso il suo lento camminare, come regale il suo vacillante incedere. Come di torre il suo aspetto. Come terrificante. Come forte l'impulso dell'ira verso il nemico. Come appassionato il suo calpestare l'uva nel tino. La colomba volava, con ali aperte al vento, sul suo capo. Cavi di Lavagna, 16 febbraio 1987
Carlo Striano
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