L’OFFERTA
I
«Che cosa sbuffi a fare, amico mio?
non così toglierai
lui di sotto alla quercia
a godersi il fresco e a zufolare,
né te da questo sole maledetto
senza una porca nuvola nel cielo.»
Lo contemplo sudato, ginocchioni,
che affonda il suo ciottolo appuntito
tutt'intorno ai ciuffi di cipolla
e sbircia ogni tanto di sottecchi
verso il colle, il fratello, il gregge
che bruca l'erba quieto accanto a quello.
«Ecco, lo vedi? Ti sei fatto male.
Invece di scavare a collo storto
col rischio di ferirti un'altra volta
prendi fiato un momento e guarda in alto.
- si ferma, si rigira, scruta il cielo -
Nuvole niente? Sta' certo, arriveranno.
Il cesto di primizie che stamane
hai lasciato nel Luogo dell'Offerta
non era bello e fresco e profumato?
Non faceva sembrare miserelli
i capretti sgozzati di Abeluccio?
All'eterno in fondo cos'hai chiesto
come segno del suo apprezzamento?
Due o tre nubi, Caino, niente più:
solo per oggi e solo qualche ora
a farti ombra qui, mentre lavori.
Arriveranno.
Certo, il sole è a piombo.»
Si leva in piedi, lascia la selce in terra,
alza una mano a pararsi gli occhi
e fa un lento giro su se stesso.
«Che afa. È mezzogiorno.
Ci fosse almeno un alito di vento...»
«Cosa pretendi? La brezza soave
di cui parla a volte tuo padre?
Quella se l'è giocata, l'imbecille,
insieme a tutto il resto.
Non ci ha saputo fare, con l'eterno.»
«Tu sai in che cosa? L'avessi mai capito.
Avrà sbagliato, avrà disobbedito,
ma in fondo poi non era così grave.
Una sciocchezza, in fondo. - tace a lungo
grattandosi la barba - E se per caso
mi fosse sfuggito dentro al cesto
un frutto bacato o ancora acerbo?»
Lascia tutto lì e si mette a correre
come bestia inseguita, come un pazzo.
Dall'alto il fratello lo guarda e sospira,
poi sorride e riprende a zufolare.
Eccolo in vista del Luogo dell'Offerta.
Dei capretti di Abele non c'è traccia,
le sue primizie sono ancora lì.
Getta un urlo, si avventa sul cesto,
lo rovescia in terra e ad uno ad uno
prende a esaminare ciascun frutto,
poi resta giù, chinato sui ginocchi,
le mani aperte, serrate sulla facccia.
«Sono tutti perfetti, ne ero certo.
Sapevo com'è fatto lui, l'Eterno,
lo sapevo e c'ero stato attento.»
Ha lacrime di rabbia per le guance.
Faccio per accostarmi ma non posso
ché un'altra presenza ora gli parla.
Mi tiro indietro ma non più di tanto,
resto in ascolto.
«Figlio di Adamo, figlio mio, cos'hai?
Quand'è che la pace ti ha lasciato?»
«Tu non hai gradito la mia offerta.»
«Non ho gradito né te né la tua offerta.
Ma se in nulla hai peccato
perché quell'ombra nera sul tuo cuore?
Perché stai ad occhi bassi e non mi guardi?
Hai una bestia in punta sulla soglia.
Si accovaccia, ti fiuta. Guarda a me
e tu potrai scacciarla.»
Ah, potessi accostarmi!
Non risponde
e non rialza gli occhi. Molto bene.
II
Si è fatta sera e è ancora lì che rumina
accovacciato in terra, a testa bassa,
il torto che ha subito. Molto bene.
Io torno ad accostarmi.
«Sei come tuo padre, mi deludi.
Abele sì che l'ha capito il trucco
per accaparrarsi il suo favore
ed ora è lì che se la gode.
Ma quello stronzo val forse più di te?
La sua offerta forse era migliore?»
«Da quando è nato è sempre il preferito.
Perché non so, ma a lui va sempre bene.»
"Si è ingraziato l'eterno. Come ha fatto?
Se tu riuscissi a farlo parlare…"
Finalmente tira su la testa,
si rialza, si stropiccia gli occhi,
si stiracchia e poi con passo lento
ritorna all'orto. Recupera la selce,
come ogni sera torna ad affilarla
contro una pietra, la ficca nella sacca
e addentando con gusto una cipolla
si avvia verso lo stazzo del fratello.
Ha la fronte contratta, gli occhi in fiamme,
va su deciso, so che cosa ha in mente.
Non c'è bisogno che gli parli ancora.
Pierluigi Varvesi