LO SCAMBIO
I Non uno solo ma quaranta giorni, quaranta notti ho avuto per piegarti quando ancora non un solo segno, non una voce ti aveva rafforzato nell'illusione di essere il messia. L'odiato ti ha lasciato a me in quei giorni nascondendo il suo volto al tuo grido e non hai avuto altra voce che la mia per blandirti ammonirti consolarti. Ogni giorno di più ti ho visto debole estenuato dalle notti insonni, dal digiuno e dalla solitudine e ho atteso con pazienza ed attenzione fino all'ultimo giorno, il quarantesimo, per metterti alla prova fino in fondo e sfidarti a compiere un prodigio che mostrasse innanzitutto a te se davvero eri il figlio dell'altissimo. Ti tirasti indietro, lo ricordi? Forse - insinuai - quel che ti interessa non è di chi sei figlio ma regnare, inebriarti di gloria e di potere. Piega il tuo ginocchio al mio cospetto e avrai tutti i regni della terra. Te li avrei dati, questo è in mio potere, per una volta tanto ero sincero e tu, tu lo sapevi ma il tuo orgoglio o la tua stoltezza o forse entrambi ti irrigidirono a tal punto le ginocchia che prostrato com'eri nella polvere, abbandonato come un cencio in terra, ti tirasti in piedi senza un gemito, tremante sì e con le mani tese a poggiarsi alle pareti della grotta, ma ritto come fossi in sinagoga a sbattermi in faccia la scrittura. «Il Signore tuo Dio adorerai, renderai culto a lui solo.» Se c'è un passo che mi fa infuriare è questo. Lo citasti quella volta, ma mi contenni, ché troppo ti bramavo, in un lampo ti presi via con me e ti posai sul muro di sud-est, in faccia il tempio e spalle allo strapiombo. Ah se avessi potuto in quell'istante spingerti giù e lasciarti sfracellare, sarebbe stato certo più avveduto. Questo purtroppo non mi fu concesso, per cui sorrisi e ti parlai da amico. «Ti ho capito sai, quello che cerchi non è il potere. Tu ami questa gente che vedi affollare la spianata per fare ingresso al tempio o per lasciarlo, e vuoi che in te veda il re messia. Proprio in te, Jeshuah a Nozri, figlio di un piccolo artigiano di un paese da nulla come Nazaret, uno sputo di mosca in Galilea da cui non viene mai nulla di buono. Ti ci vorrebbe un segno straordinario. Attento: com'è che dice il salmo? "Sulle mani ti porteranno gli angeli, perché il tuo piede non inciampi nella pietra." Proprio così. Non sei il figlio di dio? Grida a tuo padre con tutta la voce perché la folla volga a te lo sguardo, poi voltati e gettati di sotto. Qui sul monte Mòria, dove a Abramo apparve l'angelo a premiare la sua fede - aveva il coltello già alzato per colpire - e salvò suo figlio dalla morte, qui, presso l'aia di Ornan, dove a Davide apparve l'angelo devastatore - aveva la spada già sguainata - e salvò dalla peste questo popolo, qui devi mostrare la tua fede. Gettati giù da questo stesso monte e il padre tuo ti manderà i suoi angeli. Sulle loro mani ti porteranno, tu sarai salvato dalla morte e il popolo saprà che sei il messia e che il tuo nome, Jeshua, non a caso annuncia che in dio c'è la salvezza.» «»Mettere mio Padre spalle al muro? Forzarlo a intervenire per salvarmi? Vattene Satana, perché sta pure scritto: "Non metterai alla prova il tuo Dio".» Così mi rispondesti e mi scacciasti. II Io mi rivolgo a te ma tu non senti se non il vento che sibila stanotte e fa oscillare l'aspide su un ramo dell'ulivo sotto il quale giaci. Io mi rivolgo a te ma è a me che parlo, rammemoro gli agguati di quel giorno e come mi sfuggisti. Ripercorro quella sconfitta e le altre di questi anni per meglio dispormi questa volta ad insinuarmi in te, che vedo affranto, in preda all'angoscia alla paura. Stavi prostrato in terra, ora ti levi in ginocchio le mani alzate al cielo. Hai il capo a una spanna dal ramo su cui l'aspide lenta si protende a sibilarti piano nell'orecchio. Questa è la mia ora. «Stavolta no, non parlerò da amico ma come uno disposto a far con te nell'interesse di entrambi, che sia chiaro, qualche conto prima che sia tardi. Siediti poggiato a quell'ulivo, rientra in te e vedi di esser lucido.? Come dicesti un giorno? "Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non si siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi ne porta in battaglia ventimila?" Per fare il conto delle forze in campo penso sia giusto fare a modo tuo. Delle tue parole ho grande stima, le tengo bene in mente una per una e son sicuro che di qui in avanti troverò il modo di usarle a mio vantaggio.  "Chi non è con me è contro di me." Sono parole tue che condivido. Puoi dar per certo che a parte i quattro gatti che oggi come sempre, d'ora in poi, saranno così pazzi da accettare di perdere la vita a causa tua o per quello che chiami il tuo vangelo, tutti gli altri - hai ragione - sono miei. Ti tradiranno, ti abbandoneranno, ti combatteranno apertamente o meglio ancora volteranno il capo ai loro affari senza neanche accorgersi che hanno già scelto da che parte stare. Sei d'accordo con me? L'hai fatto il conto di quanto sia servito ai tuoi discepoli trascorrere tre anni fianco a fianco con la tua persona, i tuoi prodigi, i tuoi sermoni e gli ammaestramenti con cui li hai martellati giorno e notte? Non che voglia infierire, ma in quest'ora i tre che ti son stati più vicini se la dormono, poggiati ad altri ulivi a tre passi da qui, russando forte, nonostante tu per ben tre volte li abbia supplicati di vegliare, di pregare insieme a te e per te. Già sai, già glielo hai annunciato, che tutti quanti, quando sarai preso, fuggiranno e il primo fra di loro prima dell'alba ti rinnegherà. Per non parlare poi di quel di Keriot, che sta per consegnarti con un bacio. Questi sono quelli che hai formato uno per uno tu, personalmente. Quanti pensi che, dopo di loro, senza aver mai ascoltato la tua voce, senza aver mai veduto la tua faccia né essere stati colti dal tuo sguardo né aver mangiato e bevuto insieme a te quanti pensi ti verranno appresso senza poi fare la loro stessa fine?» III So che mi senti, ma non alzi gli occhi. Ora schiudi le labbra a fatica e mormori qualcosa, finalmente. Non capisco se cerchi di rispondermi o se preghi o se parli fra te e te. «Hanno mangiato e bevuto in questa notte, hanno in loro la carne il sangue mio e ancora non sanno dello scambio.» Ti sento a malapena, non capisco. «Parla un po' più forte. Cosa dici?» «Come è avvenuto sta per avvenire in questo tempo e per ogni tempo. Io in loro e loro in me. Il mio corpo in loro a trasformarli a far vivere me dentro di loro. Il loro corpo piagato dentro me perché sia io a portare il loro peso, a pagare in questo corpo ogni debito, a perdere la vita al posto loro.» «È con me che parli? Che vuoi dire?» Mah, se qualche cosa ho inteso quest'uomo ha perso il senno e stare qui a parlargli è tempo perso.   Pierluigi Varvesi
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