GLI ASINI DI BÈTFAGE
Ero steso lì in strada da un bel pezzo. Fu il ragliare dell’asina a svegliarmi. Socchiusi appena gli occhi per vedere se fosse l’ora di darle da mangiare. Avevo il sole in faccia: giorno pieno. Mi uscì un gran rutto a insaporarmi il naso del vinello che avevo ancora in pancia. Tornai a buttarmi giù. Che andasse al diavolo l’asina e il mondo intero, per un po’. La bestia seguitava, ma io niente finché un calcio sul fianco non mi scosse. Sbuffai, spalancai gli occhi e senza alzarli, dalle gambe ingrossate la conobbi. «E non rompere dai, ché sto arrivando.» «Quelle fuor di stalla a lamentarsi, La legna ancora in basto e un’altra volta tu lì per terra di fianco all’osteria!» «Smettila di strillarmi nelle orecchie, o vuoi che te le dia davanti a tutti?” «Disgraziato, tu non mi fai paura! Se ti trovo ancora qui ubriaco finisce che ti sbatto via di casa.» Una voce d’uomo si frappose: «Badate grulli, vi portan via le bestie!” Dovetti a forza tirare su la testa e li vidi che stavano sciogliendo alla madre le briglie e si guardavano intorno senza fretta, come incerti. Mai visti prima a Bètfage quei due. Mentre mia moglie si voltava urlando «Ehilà son miei quegli asini, che fate?» cercavo di tirarmi su pianin pianino, ché avevo la testa ancora in bambola, e intanto li studiavo uno per uno. I sandali consunti e impolverati, le vesti logore i mantelli poggiati su una spalla, le bisacce semivuote sull’altra: pellegrini, il più giovane una ventina d’anni. «Il Signore nostro ne ha bisogno solo stamane, ve li riportiamo.» Lei si piazzò mani sui fianchi. «Solo stamane? Ma cosa vi credete?» Quelli zitti. Afferrò le briglie e poi, più calma: «Le bestie han fame, toccherà strigliarle e ho da scaricare anche la legna, ché l’ubriacone non si regge in piedi. Voi quanto mi dareste? Su, sentiamo.» Si sentì ancora l’asina ragliare. Il più vecchio dei due provò a sorriderle, trasse dalla veste lentamente la scarsella che teneva al collo, mostrò che era vuota e scosse il capo. Lei gli voltò le spalle borbottando e senza neanche concedermi uno sguardo si avviò verso la stalla insieme all’asina seguita da presso dal puledro. Quelli non si mossero, basiti come per un evento inaspettato. Io mi ero intanto tirato su a fatica ed ero lì, malfermo sulle gambe, deciso a non fare neanche un passo. Feci cenno che si avvicinassero poi provai a parlare, un altro rutto - quasi tornavo in terra - mi poggiai al braccio del ragazzo e domandai: «Questo signore vostro chi sarebbe?” «Non lo conosci? è Gesù di Nazareth.» «Gesù chi?» Provai a guardarmi intorno per vedere se tra i compaesani che avevan fatto cerchio in cinque o sei qualcuno ne sapesse più di me. «Deve essere quel rabbi galileo, quel guaritore che dicono il messia.» Tornai a voltarmi ai due pellegrini. Il ragazzo fece sì col capo, gli occhi gli si accesero. Quelli intorno a me se la ridevano. «Un altro messia, ma come no!» «Se guarisce lui dalle bevute quello è il messia sicuro, non vi pare?» D’un tratto mi decisi. «Sono mie quelle bestie, solo mie. Io ve le presto e non voglio niente, ma fatemi venire insieme a voi. Andiamo, accompagnatemi alla stalla.» Mi presero in mezzo e mi portarono. La testa mi girava. Dissi a mia moglie che mi accompagnavano a prendere altra legna e andai con loro. Pochi passi e mi sentii mancare. Provarono a poggiarmi in groppa all’asina ma il vino tornava a venir su e avevo solo bisogno di rimettere. Provai senza riuscirci. «Mi fermo qui, ho la nausea. Andate pure. State attenti al puledro che è selvatico, nessuno lo ha montato fino ad ora. Quanto al Signore, ditegli di me.» Mi buttai in terra, li vidi allontanarsi e sprofondai nel sonno come morto. I sogni non sempre li ricordo, ma quello che feci allora ce l’ho qui come l’avessi tatuato sulla fronte. Sognai che me ne andavo a fianco all’asina con davanti quei due che si affrettavano e anch’io li seguivo di buon passo. Non vedevo il puledro. Cercai intorno, poi mi venne di abbassare gli occhi, mi vidi zampe al posto delle gambe e senza meraviglia constatai che ero io il puledro e che tranquillo trotterellavo a un passo dalla madre. Giungemmo al bivio per Gerusalemme e lì stavate voi, sotto una quercia, e con voi c’era lui, c’era il Signore. Quel che è successo poi voi lo viveste tal quale io l’ho vissuto nel mio sogno: Gesù che volle, nonostante il giovane l’avvertisse che quello era selvatico, montare sul puledro, su di me, e poi all’arrivo alla città di Davide gli Osanna, le fronde di ulivo ed i mantelli su cui passammo per fare onore a lui. Di quei momenti però c’è qualche cosa che ha vissuto soltanto il mio puledro e che a volte mi sento ancora addosso: le sue mani a accarezzarmi il collo e le ginocchia, strette sui miei fianchi. Quando tornai a spalancare gli occhi ogni effetto del vino era svanito. Corsi in paese, salutai mia moglie, tornai svelto alla stalla e me ne stetti lì fuori ad aspettare. Avevo il cuore che batteva forte. Tornasti tu, ragazzo, assieme agli asini. Ricordi? Ti abbracciai, ti dissi: «Vengo, vengo via con te, dietro di lui». Così oggi son qui con tutti voi e tra due giorni è Pasqua. Pierluigi Varvesi
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