A QUELL'ANNUNCIO
I Bambino mio, mi chiedi quando è stato, quand’è che ti accolsi nel mio ventre Siediti, ascolta e proverò per te a tornare a quel giorno benedetto. Benedetto sia il nome del Signore. È mattina, un lungo, freddo inverno sta volgendo alla fine. Ho quindici anni, sono al telaio accanto alla finestra. Alzo gli occhi a cercare tra le nubi un po’ di chiaro che preannunci il sole. Non manca molto - penso - alle mie nozze. Già vedo a primavera le ghirlande, fiori di pesco e giunchi. Tessono intanto svelte le mie dita una bruna tunica per Yosef. Va il cuore dal telaio al ramo spoglio di quel pesco in giardino ne contempla del sonno la breve stagione e lascia le nuvole andare. Alle labbra riaffiora un ritornello Alzati amica mia, mia bella, e vieni! I piedi leggeri nei sandali si uniscono al canto. Un fresco di vento mi porta profumo di fiori la sua luce, bianchissima e quella voce «Rallegrati - mi dice - oh benedetta, tu di cui il Signore si rallegra e ti fa colma di ogni suo favore.» Cado in ginocchio stupefatta attonita e quella voce - la luce di quell’essere mi abbaglia - mi rassicura mi annuncia te, Gesù, dentro di me per la discesa in me del Santo Spirito, per l’onnipotenza dell’Altissimo. O Dio, sei tu il mio scudo! grida il cuore. Rivolgo al cielo le palme delle mani e me ne sto così, svuotata e povera, senza risorse neanche per un fiato. Una luce mi penetra il cuore e finalmente percepisco l’essere che mi è stato dato da El Shaddai, benedetto il suo nome. Ecco, ecco chi sono - canta il cuore - sono colei che serve l’Adonai e così la lingua segue il cuore. Cosa m'accadde poi tra luce e tenebre, cosa m'accadde all'ombra della potenza di Lui non ti so dire, figlio. So soltanto che tutto in quell’istante fu all’unisono, la tua venuta qui, dentro il mio ventre, e lo sgorgare del Sì che mi fu dato. La prima cosa che hai fatto, figlio mio, non appena tu fosti generato fu il «Così sia» che pronunciasti in me. Il tuo Amen fu il mio e il mio fu tuo, in quell’istante conobbi che ero madre. II Non l’ho visto il mio angelo stanotte, ho soltanto udito la sua voce. «Entra con me nel respiro di Maria all'annuncio che le fu portato. Fu lungo sai il respiro di Maria, fu un lungo, profondo prender fiato. Non fu aria ad invaderla, fu il Soffio possente e soave dell'Altissimo. Dalle nari ai polmoni al sangue al cuore fino alle viscere al ventre verginale trovò docile sgombra ogni via. Mentre intorno il tempo era sospeso come ogni cerca ogni andare ogni altra attesa, mentre ogni essere da Dio creato tratteneva il respiro tranne l'uomo, fu quel Soffio a seminare l'Amen nella terra buona di Maria.» III «Madre, venne da te quel respirare? Dimmi, l'impulso ai muscoli del petto a dilatare lo spazio per quel Soffio, venne da te? Così facesti allora?» Credimi, figlio. Non ho fatto niente. È stato solo lui, l'Onnipotente a fare grandi cose e a farle in me. Io semplicemente non ho fatto: non mi sono chiusa a quel respiro. Perciò il mio cuore magnifica il suo sposo e con te, figlio, riposa nel suo amore. Roma, 20 dicembre 1991 Scandriglia, 1 gennaio 2013 Pierluigi Varvesi
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