LETTERA A UN DIVINO CANTORE*     Gioisci di chi ti impiega come uno strumento
Signora, il mio strumento da musica è in ripostiglio giù con le valigie, le scarpe da montagna e con la polvere che erano un tempo le mie dita e a cui ritorneranno. Le mie dita, signora, prendono già di quella polvere per poco che lasci in ripostiglio muto il mio strumento prezioso. Le sue dita, signora, conoscono la via tra le mie stanze osano il buio a volte, quella polvere e lui risuona e vibra. La sua musica, signora, io non conosco, né il suo volto. Lei non li mostra mai se viene in visita. Lei ha sul viso il mio calco di cera e sulle dita solo la mia musica. La mia musica, signora, non riconosco, né il mio stesso volto se non perché risuona a volte e vibra sotto altre dita il mio strumento prezioso. Avessi orecchi, signora, per intendere un poco la sua musica, avessi occhi dischiusi per percorrerlo - se lo mostrasse - il viso, potrei parlarle. Potrei dirle, signora, che anch'io l'amo, che benedico e prego Dio per lei, ché venga lui, Gesù, tra le sue stanze col suo calco di cera sul viso, a liberare il suo strumento prezioso dal buio, dal chiuso, dalla polvere e sulle dita la sua vera musica. Avessi dita, signora, non di polvere per carezzarla in viso. Sarà lui, signora, a farlo anche per me. Cavi di Lavagna, 4 giugno 1988 *Ad Elena Bono Pierluigi Varvesi
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