LETTERA A UN DIVINO CANTORE*
Gioisci di chi ti impiega come uno strumento
Signora, il mio strumento da musica
è in ripostiglio giù con le valigie,
le scarpe da montagna e con la polvere
che erano un tempo le mie dita
e a cui ritorneranno.
Le mie dita, signora,
prendono già di quella polvere
per poco che lasci in ripostiglio muto
il mio strumento prezioso.
Le sue dita, signora,
conoscono la via tra le mie stanze
osano il buio a volte, quella polvere
e lui risuona e vibra.
La sua musica, signora,
io non conosco, né il suo volto.
Lei non li mostra mai se viene in visita.
Lei ha sul viso il mio calco di cera
e sulle dita solo la mia musica.
La mia musica, signora,
non riconosco, né il mio stesso volto
se non perché risuona a volte e vibra
sotto altre dita
il mio strumento prezioso.
Avessi orecchi, signora, per intendere
un poco la sua musica,
avessi occhi dischiusi per percorrerlo
- se lo mostrasse - il viso,
potrei parlarle.
Potrei dirle, signora, che anch'io l'amo,
che benedico e prego Dio per lei,
ché venga lui, Gesù, tra le sue stanze
col suo calco di cera sul viso,
a liberare il suo strumento prezioso
dal buio, dal chiuso, dalla polvere
e sulle dita la sua vera musica.
Avessi dita, signora, non di polvere
per carezzarla in viso.
Sarà lui, signora, a farlo
anche per me.
Cavi di Lavagna, 4 giugno 1988
*Ad Elena Bono
Pierluigi Varvesi