DAL DIARIO DI SAULO           "Saulo, Saulo,                 perché mi perseguiti? Dura cosa è per te recalcitrare contro il pungolo."
I Giornata questa da non dimenticare. Il taumaturgo, l’amico dei poveri, come già chiamavano in città quello Stefano dalla lingua lunga che ci accusava di aver mandato a morte addirittura l’atteso, il re messia, non era cosa facile incastrarlo vista la stima da cui era circondato e chi c’è riuscito? Proprio io, Saulo, quell’imberbe fariseo che i sadducei in Sinedrio deridevano. Dai confratelli miei della Cilicia l’ho fatto invitare ad un incontro. Così stamane quel povero imbecille è venuto, ben lieto di annunciare a noi della Sinagoga dei Liberti la via, come la chiamano, che porta a sovvertire le nostre sacre usanze. Gli abbiamo dato spago per un po’ cercando di indurlo a bestemmiare, poi ho spinto due o tre dei più vivaci a gridare di averlo già sentito parlare contro El Shaddai, l’Onnipotente, benedetto il suo nome glorioso, e contro la Legge di Mosè. Presi da santo zelo gli sono piombati addosso in molti e lo hanno trascinato nel Sinedrio che proprio quest’oggi, vedi caso, era in seduta, pronto a giudicare. Nonostante le testimonianze da me ben concertate di più d’uno lo mettessero con le spalle al muro, ha potuto parlare in sua difesa, ma non ha fatto che indisporci tutti e ha concluso con vaneggiamenti di pretese visioni e con bestemmie che l’han portato, com’era inevitabile, alla sentenza di condanna a morte. Visto il mio ruolo in tutta la faccenda, ne hanno incaricato il sottoscritto. Io, il più giovane di tutti e settantuno, ho presieduto all’esecuzione. Da quando Gamaliele mi ha ottenuto un seggio tra i membri del Sinedrio è la prima volta che mi mandano a rappresentarli ufficialmente. Non era un incarico da poco dato che bisognava fare in fretta prima che i Romani lo impedissero. Così stasera, appena ha fatto buio, abbiamo lapidato quel fanatico così come prescrive la Torà. Mentre lo prendevano a sassate quello ha ripreso a bestemmiare gridando al suo Gesù come ad un dio. Ci ha accesi di tanta indignazione che subito dopo in grande numero ci siamo sparsi per Gerusalemme armati di spade e di bastoni per ripulire tutta la città da questa setta di bestemmiatori. II La scorsa notte ho recitato lo Shemà che era ormai tardi, stanco ma sereno per avere adempiuto al mio dovere innanzi all’Altissimo, benedetto il suo nome, e davanti a ogni uomo giusto e pio. Invece dal risveglio, non so come, mi ritrovo ancor stanco ed anche inquieto forse, chissà, per quello che ho sognato. Meglio lo annoti, prima che mi sfugga. Su di un terreno arido e sassoso un gregge di capre macilente brucava quel po’ d’erba ingiallita che si faceva spazio fra le pietre. Poco distante il gruppo dei capri si abbeverava ad una pozza di acqua scura e putrescente. Io puntavo lo sguardo su quei maschi perché nel sogno qualcosa non quadrava. Presi ad esaminarli ad uno ad uno finché non distinsi tra loro, per le corna curvate verso il basso e per il manto, tutto infangato ma molto più chiaro, un ariete giovane e irrequieto che si faceva spazio con violenza per arrivare all’acqua e ai ciuffi d’erba che lì intorno erano più folti. Tutto qui, chissà che vorrà dire, se pure vorrà dire qualche cosa. È l’ora sesta e sono ancora in casa. Voglio andare ad annusare in giro cosa si dice di quel che abbiamo fatto per liberarci di Stefano e degli altri. III Ho avuto mal di testa tutto il giorno e un umor cupo che non so spiegare. Sarà perché ho saputo che quegli empi, gli adoratori del folle nazareno, sono riusciti a lasciare la città. Quelli di noi che per incarcerarli avevan seguitato fino all’alba a cercarli nelle loro case ne hanno trovate molte vuote. Staranno fuggendo chissà dove, ad infettare con la loro via altri ingenui, fanatici o ribelli. Sento il dovere di contribuire anch’io ad estirpare del tutto l’infezione, a costo di stanarli uno per uno in Giudea come in Samaria, in Galilea o nella Decapoli. Ci penserò. Dopo la preghiera che un lungo sonno venga a ristorarmi. IV È appena l’alba e è un po’ che sono sveglio, strappato al sonno da una fitta al fianco, come una colica breve e molto acuta. Ero nel mezzo di un altro strano sogno che ben ricordo, vivido e inquietante. Ho visto, ancora in quello stesso posto, quel gregge malridotto e lì tra i capri, vicino a quella pozza quell’ariete. Poi ho visto sopraggiungere un pastore alto, vestito di una bianca tunica, che si appoggiava al suo vincastro. Si è fatto largo in mezzo al gregge e gridava a gran voce: “Vieni, seguimi!” Mi guardavo all’ingiro per capire chi mai stesse chiamando, se per caso ci fosse, magari steso in terra, un altro pastore addormentato ma no, nessuno e quello continuava a addentrarsi nel gregge ed a chiamare. L’ho visto poi raggiungere quei capri, puntare il bastone sull’ariete e parlargli con voce ora sommessa: “Su, vieni via. Ché non mi senti? Seguimi.” L’animale continuò a brucare, come se l’uomo non dicesse a lui. Ricordo che nel sogno mi dicevo: “Non può capire, che gli parla a fare?” L’ho visto infine con il suo bastone pungolare sul fianco quell’ariete ed è allora che di soprassalto sono uscito dal sogno e con la mano mi premevo lì dove mi doleva. Tutto sommato, a ripensarci bene, nulla di strano: mi è già capitato che la mente sovrapponga a un sogno qualche cosa che capiti a chi dorme come questa colica stanotte. V Riprendo come sempre le mie note prima della preghiera della sera. Dall’ora nona non faccio che pregare e scrutare i Salmi ed i Profeti nonostante un forte mal di testa. Così mi ha detto di fare Gamaliele stamattina, quando gli ho parlato. Quando arrestammo una seconda volta, saranno ormai più di venti giorni, Pietro e gli altri capi della setta, il mio rabbi ci parlò in Sinedrio in modo tale da turbarmi tanto che neanche lo annotai su questo diario. Già la prima volta mi ero opposto a che i seguaci di quel nazareno fossero solo ammoniti e rilasciati, ma fui zittito e quelli, imbaldanziti, avevan seguitato a far proseliti grazie a straordinarie guarigioni, opera evidente di magia. Per fortuna il sommo sacerdote, che sadduceo qual è ritiene assurdo che qualcuno possa mai risorgere, si era deciso di nuovo ad arrestarli dopo che gli avevan riferito che quelli affermavano che il rabbi, quel Gesù finito sulla croce, era ritornato dalla morte. Avessimo fatto fare a loro la fine che ho fatto fare a Stefano, non saremmo arrivati a questo punto. Ma Gamaliele volle ricordarci che i seguaci di pretesi messia come Teuda o Giuda il Galileo dopo che i loro rabbi erano morti avevano finito col disperdersi. Ci disse quindi di lasciarli stare lasciandosi andare anche all’ipotesi che quei cialtroni fossero nel giusto nel qual caso finì con l’ammonirci di non rischiare di andare contro Dio, benedetto sia il suo nome santo. Non fosse stato il mio maestro mi sarei certo strappato le vesti, invece restai immobile, impietrito, mentre gli altri, non mi ci rassegno, lo stettero a sentire come pecore. Da allora non mi sono più sentito di frequentare ancora la sua scuola. Stamane però ero così turbato che son voluto tornare a cercarlo anche perché alla riunione del Sinedrio che ha condannato a morte Stefano, fatto strano, lui era stato assente. Chissà, mi sono detto, è così anziano, potrebbe darsi non si senta bene. Era indisposto ma mi ha ricevuto. Per accertarmi se dopo l’altro ieri si fosse per caso ricreduto, gli ho voluto esporre il mio proposito di mettermi al servizio del Sinedrio per agire contro quella setta anche fuori da Gerusalemme. Mi ha ascoltato in silenzio ed in silenzio, senza muoversi e con gli occhi chiusi è rimasto poi per lungo tempo, tanto che mi son persino chiesto se il vecchio non si fosse addormentato. Ad un tratto ha spalancato gli occhi, mi ha fissato aggrottando la fronte e mi ha detto soltanto, lo ricordo come se lo avessi qui davanti: “Ascolta figlio, bada a quel che fai. Prima di agire mettiti a pregare e scruta lungamente la Scrittura.” VI Dopo una notte trascorsa senza sogni stamattina sono andato al Tempio e ho chiesto udienza al sommo sacerdote. Mi ha ascoltato con benevolenza anzi, si è degnato di lodarmi per lo zelo e l’accortezza, così ha detto, che tre giorni fa gli ho dimostrato. Gli ho chiesto se a nome del Sinedrio mi mandava ad agire più lontano contro i seguaci del rabbi nazareno. Mi ha per l’intanto consegnato lettere per le sinagoghe di Damasco con cui mi autorizza a catturare uomini e donne ed a spedirli a lui per farli giudicare dal Sinedrio. Mentre mi preparavo alla partenza all’ora nona son venuti a dirmi da una sinagoga dei sobborghi di avere individuato alcune case da cui gli aderenti a quella via non si erano ancora allontanati. Bisognava di nuovo agire in fretta prima che anche loro ci sfuggissero. Ho chiamato le guardie del Tempio e siamo andati a stanarli uno per uno. Saranno stati almeno una ventina. Li ho raggruppati nella sinagoga e lì, davanti a tutti, li ho costretti a forza di frustate a confessare di avere tradito i nostri padri. A un vecchio che parlava con fierezza ho fatto strappare i pochi denti che gi erano rimasti, per indurlo a rinnegare Gesù Nazareno, ma certo era debole di cuore perché è crepato prima di riuscire a dire anche solo una parola. Domani all’alba lascio la città, ma prima son contento di aver dato al sommo sacerdote e a tutti gli altri un’ulteriore prova del mio zelo. VII È ancora presto, il sole non si è alzato e mi tocca di nuovo registrare, prima di andare, quello stesso sogno che mi perseguita ormai da vari giorni. È come una visione che prosegue. Quel pastore è ora solo con l’ariete e lo sospinge su per un sentiero stretto, sassoso e molto ripido. L’ariete recalcitra, si volta ad ogni passo per tornare indietro tra i capri che si vedono giù in basso attorno a quella pozza putrescente. Il pastore si serve del vincastro per indurlo a riprendere la via ma il cammino procede lentamente finché non raggiungono la cima. Di là ho visto distendersi una valle circondata da verdi montagne e percorsa da un calmo torrente. Da quella valle mi è parso di sentire belati di pecore e di agnelli. L’ariete a quella vista si è fermato puntando le zampe sul sentiero come a rifiutarsi di avanzare. Un’altra volta il pastore lo ha colpito proprio sul fianco con il suo bastone e un’altra volta mi sono svegliato strappato al sonno da una fitta al fianco. Sono in preda all’angoscia. Mi domando se il Signore, benedetto il suo nome, non stia cercando di dirmi qualcosa, ma adesso non ho tempo di pensarci. È ora di partire per Damasco. Scandriglia, 24 gennaio – 13 febbraio 2012       Pierluigi Varvesi
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